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ultima modifica: lunedì 08 dicembre 2008 |
Estratto dell'intervento del prof. Aldo Loris Rossi
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Professore ordinario di Progettazione Architettonica - Università di Napoli Federico II (cliccare qui o sul nome per note biografiche) |
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Il prof. A. L. Rossi apre l’intervento richiamando l’attenzione sull’ultimo congresso internazionale degli architetti tenutosi lo scorso giugno a Torino e promosso dall’U.I.A. (Unione Internazionale degli Architetti). In tale circostanza è stato adottato un Manifesto, approvato da 120 paesi, detto, appunto, Manifesto di Torino, in cui, affrontando la crisi delle grandi aree megalopolitane, si pone il problema di un riequilibrio dell’ecosistema e dei limiti dello sviluppo dettati dalla finitezza del mondo. Per dare un ordine del problema ricorda che, all’epoca di Augusto, nell’Europa dominata dai romani, vivevano trenta milioni di abitanti, un numero pari a quanti vivono oggi a Città del Messico. Ed ancora evidenzia come la sua generazione, nata negli anni trenta, nascesse con una popolazione mondiale di due miliardi ed oggi si ritrova con una popolazione di oltre sei miliardi. La storia dell’umanità non ha mai registrato una così elevata concentrazione di persone in aree così limitate quali città e, in particolare, città megalopolitane (cioè con oltre cinquanta milioni di persone). Le società contemporanee, pensando che la natura avesse riserve illimitate hanno adottato quella che viene chiamata l’Economia dei Consumi. Questa è una mostruosità inventata dagli americani per fronteggiare la crisi degli anni venti, sfociata nel tracollo del ventinove. Studiata a tavolino per incentivare i consumi, in un decennio ha trasformato delle virtù, quali l’Economia del Risparmio, in vizi e dei vizi, quali lo spreco, il consumo, in virtù. Consumo che diviene fondamentale per incentivare le vendite. Nella Economia della sobrietà gli oggetti erano realizzati per durare a lungo, erano funzionali e carichi di significato e di valori, tanto da essere spesso tramandati. L’Economia dei Consumi, invece, promuove la realizzazione e la vendita di oggetti programmati per durare poco, essere appariscenti e avere un valori nullo o limitato nel tempo, oggetti che, divenuti rapidamente inutili (o inutilizzabili), vanno ad alimentare discariche sempre più grandi. Nel Manifesto di Torino si parla di andare verso un’era post consumista realizzando la transizione da una Economia dei Consumi ad una Economia della Sobrietà in quanto, oggi, nel nome del superfluo stiamo assassinando il pianeta. Un primo importante passo, verso la coscienza di tali problemi, si ha nel 1968 con la fondazione, ad opera dell’ing. Aurelio Peccei, del famoso Club di Roma (così chiamato perché riunitosi la prima volta a Roma; n.d.r.). Questi commissiona all’MIT (Massachusetts Institute of Technology; n.d.r.) uno studio diretto da D. Meadows e pubblicato nel 1972 con il titolo “I limiti dello sviluppo” nel quale si evidenzia che, pur se importante, lo sviluppo ha i suoi limiti dati dalla “finitezza del pianeta”. Se oggi non ci si renderà conto di ciò sarà il collasso. Passando al contesto napoletano il professore rimarca il disastro ambientale presente a Napoli. Evidenzia come i dati demografici vedano sempre più diminuire la popolazione nella provincia di Napoli tanto che alcune proiezioni prevedono per il 2051 una perdita tra i 350.000 e 600.000 abitanti. La gente va via da Napoli e dal sud (cita un articolo di Repubblica che documenta la crescita della povertà in Campania e la relativa migrazione verso il nord) e ciò obbliga a riformulare la strategia della politica urbanistica, realtà, invece, ignorata da architetti e imprenditori che continuano a costruire in una città che si svuota perchè invivibile, in cui mancano attività produttive capaci di reggere una economia, che vede la piana campana essere diventata “gomorra”. In tale contesto, afferma il professore, incontri qualificati come questo sono importanti e dovrebbero moltiplicarsi, catalizzare l’attenzione, creare consensi, invece è presente una indifferenza che testimonia come Napoli sia vittima dei suoi mali facendo poco o nulla per uscirne e cita, in merito, Saverio Vertrone (1992), Benedetto Croce (1917-26), Gaetano Salvemini (1911), Giuseppe Saredo (1900), Salvatore Di Giacomo (fine 1800), ancora Benedetto Croce sulla morte di Pisacane (1857), il figlio di Gaetano Filangieri (fine 1700) e infine De Sade (metà 1700) – cliccare per visionare le citazioni – . Il professore continua affermando che a Napoli stiamo all’anno zero, ribadendo come ciò sia testimoniato dal fatto che la città, dal 1971 ad oggi, abbia perso 250.000 persone, 1/5 della popolazione. Afferma che oggi a Napoli è rimasta una solo autorità, il Cardinale, essendo tutte le altre screditate, e confida molto che Egli possa dare un fattivo contributo per uscire da tale drammatica realtà. Ricordando il patrimonio di Chiese chiuse ed esposte al saccheggio (nel centro storico su 300 Chiese solo 80 sono aperte) chiude l’intervento sottolineando che, al di la dei napoletani, oggi il problema è la sua classe politica che vive di rendita sulle risorse pubbliche. A Napoli c’è una sorta di “cupola”, che rende immobile la città, e si fonda su quattro pilastri: 1) la classe politica, indifferente alla programmazione ed ossessionata dalla gestione; 2) la classe imprenditoriale che non rischia un soldo ed è attaccata alle risorse pubbliche; 3) buona parte dell’Università e dell’Accademia asservita ai primi due poteri; 4) la camorra con i quali gli altri poteri devono fare i conti.
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